ERA NATO DI SETTEMBRE

Era nato di settembre

Storia (incompleta) di Silvio Sardi

“Il ricordo è un modo di incontrarsi.”

(Khalil Gibran)

Era nato di settembre. Sono state le parole di mia madre quando le ho mostrato il fascicolo. Con queste parole lo ha riconosciuto. Tutto le pareva più chiaro. Il passato cominciava lentamente a riaffiorare: la sua non era più una storia ingiustamente semi-dimenticata, gelosamente custodita ma dai contorni sbiaditi. Il percorso umano di Silvio Sardi cominciava ad acquistare contorni più nitidi.

A parlarne adesso sembra ancestrale, fuori dal tempo, ma questo è più che mai un racconto del Novecento, intrecciato con quello di un paese, di un territorio e di un continente.

Per anni la sua è stata – e lo è ancora – una storia che si racconta spesso in famiglia. Della sua vita avventurosa ci vantiamo. Fin da piccolo mi è capitato si sentirla. Il nonno racconta spesso di questo suo cugino acquisito, i’ Sardi, come lo chiamavano a Meleto e a San Cipriano. La sua storia merita di essere raccontata e assomiglia a quelle di molti altri della Toscana di allora.

Questo racconto di vita inizia in un giorno di settembre del 1901, quando un bambino figlio di ignoti nasce nel comune di Castellina in Chianti, nel senese. Il bimbo passa in un istituto a Siena i primi mesi della sua vita, per poi risiedere in alcune famiglie nel comune di Trequanda.(1) Nel 1909, dopo aver già vissuto in due famiglie, arriva nella famiglia del fratello del mio bisnonno materno, nel comune di Cavriglia.(1) A quel tempo è comune per le famiglie contadine non molto numerose prendere in affidamento dei ragazzi orfani. Questi giovani meno fortunati vengono chiamati Birchi, proprio a dare l’idea delle loro precarie e sfortunate vicissitudini, e forse non senza malizia.

La famiglia di Antonio vive a strettissimo contatto con quella del mio bisnonno, condividendone le mansioni di mezzadri. Stringe un legame affezionato con Francesco, il padre di mio nonno. Mio nonno stesso mi ha detto più volte che loro due – e questo è un altro vanto di famiglia – conobbero Attilio Sassi, storico sindacalista e segretario dei minatori valdarnesi con l’Unione Sindacale italiana (USI) e poi, nel dopoguerra, dirigente nazionale della CGIL.(3)

Fino al 1919 il Sardi rimane a casa loro, poi si sposta nel vicino comune di San Giovanni Valdarno, dove comincia a lavorare nelle miniere di Sabbioni. Dal fascicolo dell’ISGREC sappiamo che effettuò il servizio militare, probabilmente nel 1918, presso il 5° Reggimento del genio del Regio esercito.(1) Dallo stesso si sa che fa parte degli Arditi del popolo, un’organizzazione di veterani e di popolani di sinistra, fondata nel 1921, che prende le difese dei ceti meno abbienti dalle violenze dello squadrismo.(1) Questi sono di varia provenienza ed estrazione: socialisti, comunisti, libertari, repubblicani, popolari, radicali, o anche solo persone che ne hanno avuto abbastanza delle coercizioni squadriste. Per queste ragioni, stando al fascicolo e ai ricordi di famiglia, si sa che è condannato a tre anni e venti giorni di reclusione, nel 1921, per scontri con i fascisti.(1)(8)(3) Furono anni turbolenti: nel marzo dello stesso anno, in Valdarno, si ebbero scontri armati fra squadristi e militanti di sinistra.(3)(4)(8)

Silvio deve fuggire e nascondersi. Su di lui, come dice il nonno, c’è una taglia: ventimila lire, vivo o morto. Divertito, mi racconta spesso di come il Sardi, nelle sue fughe, si divertisse a sbeffeggiare gli squadristi con travestimenti improbabili e di come spesso riuscisse per questo a sfuggirgli. Ha talvolta una leggerissima ed episodica zoppia, mi racconta il nonno, forse eredità di una paralisi avuta nei primi anni di vita, e per questo teme che lo riconoscano.

Nel novembre del 1922 il Sardi scappa in Francia.(8) Lo fa, come suppone il nonno, passando per la Val di Pesa, dove spesso ama andare alle sagre di paese. Si rifugia a Marsiglia, dove stringe dei contatti con gli esuli antifascisti locali e altri immigrati valdarnesi e, secondo le ricostruzioni dell’ISGREC, lavora prima in alcuni frantoi locali e poi come portuale.(1)(8) In quegli anni, molti oppositori antifascisti sono costretti ad espatriare; tanti di loro, sempre più emarginati, per lavoro e non, sono costretti a farlo.(8)

Fra il 1923 e il 1930 vive in varie cittadine del Dipartimento di Saint-Denis e sul finire di questo periodo si stabilisce a Parigi, dove lavora presso la casa di pittura di un certo Anselmini, sotto lo pseudonimo di Raffaello Ciantelli.(1) Mio nonno dice che il Sardi assunse questo cognome in onore di un suo amico di Meleto, ma non ho avuto modo di saperne di più. Nel suo fascicolo nella banca dati dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri il suo pseudonimo è riportato come Raphael Chantelli, e il suo fascicolo lo scheda come comunista.(6) Successivamente, dal 1930 al 1932, secondo la ricostruzione dell’ISGREC, si sposta a Montreuil sur Bois, sempre nel Dipartimento omonimo e poi, per otto mesi, finisce a Lorient, in Bretagna.(1)

Dopo essere tornato a Parigi, sembra trovare un po’ di felicità: qui, infatti, convive con un signora francese di cui alleva i due giovani figli.(1) Anche il nonno si ricorda di questo, ma non sa se dopo il ‘45 Silvio rimane in contatto con la sua famiglia francese.

Nel file dell’ISGREC, preziosissima fonte di informazione, riusciamo a colmare dei vuoti che da soli non riuscivamo a fare, e sappiamo che nel 1934, dopo essere stato testimone indiretto di un omicidio, viene accompagnato dalla polizia alla frontiera belga.(1) Da qui si stabilisce ad Anversa fino al giugno del 1935, lavorando come tappezziere.(1) Si comincia a intravedere quello che il destino ha in serbo per lui, poiché da qui si sposta e va clandestinamente nella Barcellona repubblicana, dove trova impiego come pittore e collabora con una locale cooperativa di artisti.(1)

Come l’ISGREC segnala, ci sono interrogatori della Prefettura di Siena dove si dice che il Sardi sarebbe stato coscritto coercitivamente dal 1936 al ‘37. (1) Lo stesso file, però, cita che molte altre fonti lo danno nel 1937 come arruolato nella XII° Brigata internazionale nella guerra di Spagna. (1) Il suo fascicolo presso l’Istituto Nazionale Ferruccio Parri dice che combatte nel Battaglione Garibaldi, allora comandato da Randolfo Pacciardi, composto da volontari antifascisti italiani.(6) Dai due fascicoli si apprende che combatte in Aragona, a Caspe, un paesino a un’ora di macchina da Saragozza e da Huesca.(1)(6) Da qui, il confine con la Catalogna non è lontano: probabilmente, azzardo io, prende parte ai combattimenti che portano all’offensiva di Aragona nell’agosto del ‘37 da parte repubblicana, che però finisce in un sostanziale stallo. Quella regione, considerata dai repubblicani come la più strategica per il transito di uomini e rifornimenti nel periodo della guerra civile, ha un’influenza determinante.

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(Paesaggio e cielo spagnoli, Toledo, 2017, ph. autore)

È qui che i ricordi del nonno si acuiscono, la memoria si spalanca e comincia l’epica. Nel dopoguerra lo stesso Sardi, con quella oratoria di cui il nonno rimaneva sempre colpito, raccontava delle sue peripezie sul fronte occidentale, in Spagna. Diceva di essere stato comandante del suo piccolo distaccamento in quei disperati giorni di resistenza contro le forze nazionaliste del futuro Caudillo Francisco Franco. Di lui il nonno dice che era una persona dall’indole ribelle, quella di chi vuol esser padrone di sé. Avendo letto le carte, non faccio fatica a credergli.

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(Toledo, Spagna 2017, ph: autore)

Dopo 3 mesi di combattimento, le fonti dicono che torna in Francia e viene internato nei campi di Santé e a Fresnes.(1) Nel 1938, dopo essere stato rilasciato, viene di nuovo arrestato, ma riesce a liberarsi e a vivere in segretezza sul suolo francese fino a che, nello stesso anno, torna a unirsi alle Brigate internazionali in Spagna.(1)(6) Qui viene ferito e ritorna in Francia.(1) Infatti mio nonno dice che il Sardi gli raccontò di aver preso parte alla ritirata in quegli ultimi giorni frenetici della guerra civile. Proprio in quell’anno, con la seconda offensiva di Aragona, i territori controllati dalle forze repubblicane sono tagliati in due dalle truppe di Franco, con un esisto ormai sempre più segnato. Dirottato su Parigi, viene nuovamente arrestato e portato alla frontiera belga; rientra in Francia e viene nuovamente arrestato: da qui viene internato nel campo di Rieucros, sempre nel ’39, ma riesce a scappare e viene nuovamente fermato dall’autorità giudiziaria.(1) Dal suo fascicolo online dell’ISGREC si sa che riesce ad ottenere un rinvio per il suo ordine di espulsione e si arruola nella Legione straniera francese, sempre nel 1939, ma attende di venire aggregato ai suoi ranghi fino al 1940.(1) Sempre da qui si sa che è assegnato, a conflitto mondiale scoppiato, al seguito delle truppe britanniche per eseguire dei lavori in Bretagna.(1) Per la Pasqua va a Parigi per motivi imprecisati e viene nuovamente arrestato per le sue simpatie libertarie.(1) Internato al carcere di Roland Garros, viene successivamente portato al campo di Vernet, nella regione di Tolosa, dove ha come numero di matricola 1550.(1) In questo campo, in periodi differenti, sono internati anche molti altri antifascisti italiani come Giuliano Pajetta, Luigi Longo, Leo Valiani e Francesco Fausto Nitti.(7) Da qui, come si evince dal fascicolo, rifiuta di essere rispedito in Italia perché oramai afferma di aver stabilito dei legami familiari in Francia.(1)

Nonostante ciò, dopo una domanda di rimpatrio, viene riportato in Italia nel 1941 in qualità di “reduce delle Brigate internazionali”, dove passa tre anni al confino a Ventotene e poi a Renicci, nei pressi di Anghiari.(1)(5)(6) Nel 1943, con la caduta del Fascismo, il regime di confino non sussiste più e scappa.(1) Dagli studi del Prof. Acciai si sa che il Sardi, verosimilmente in quel periodo, fu uno dei primi fondatori delle bande partigiane nell’empolese.(2) Da qui possiamo immaginare che avesse sempre avuto conoscenze e amicizie in quella zona, anche precedenti alla guerra.

Catturato dai nazi-fascisti, è internato nel campo di prigionia di Kiel, nel Nord della Germania, e da qui riesce a rimpatriare in Italia nel 1945.(1) Il nonno stesso mi dice che, durante il periodo di prigionia del Sardi in Germania, il mio bisnonno tenta di avere sue notizie, ma senza esito. Silvio, una volta tornato in Valdarno, rimane per un po’ di tempo a San Cipriano e ritrova i parenti da cui aveva dovuto separarsi. La guerra era passata e aveva mietuto fra le sofferenze di chi ne era stato vittima o spettatore impotente. È in questo periodo che mio nonno incontra per la prima volta il Sardi.

Da qui si apre un’altra storia, da ora in poi userò il passato.

Nel dopoguerra, Silvio decise di trasferirsi a Milano. Qui il nonno mi dice che lavorò come imbianchino, forse mettendo su una ditta tutta sua. Per quel che ne sappiamo, con i saltuari collegamenti che si avevano al tempo, viveva solo. I ricordi di mia mamma e di mio nonno s’intrecciano, perché oltre a questo c’è il ricordo un po’ sbiadito di un signore distinto, di media statura, dai tratti un po’ marcati e con pochi capelli, che scendeva da un treno alla stazione di San Giovani Valdarno e portava un regalo a una bambina. Ma anche il ricordo di un uomo che si divertiva a discutere degli anni che furono, di quel passato che lo aveva tenuto lontano da casa, con mia mamma che ascoltava quei racconti dei giorni di Spagna. Erano le storie di un uomo che aveva conosciuto il mondo. Silvio aveva vissuto, perso l’accento e visto tanti luoghi.

Tornare in Valdarno era un modo per ritrovare i conoscenti e gli amici di un tempo, anche se forse non tutti. Diceva che era vicino alla pensione e che sarebbe tornato qui, magari per recuperare un po’ di quello che aveva perso. Erano gli anni ‘60, era un’altra Italia. Per mano del nonno so che Silvio aveva già cominciato a mandare un po’ dei suoi attrezzi da lavoro in Valdarno, ma da un giorno all’altro non seppero più niente. Dopo un po’ di tempo, purtroppo, vennero a sapere che il Sardi, il Raffaello o Raphael Ciantelli degli anni da esule, era deceduto. Probabilmente era avvenuto mentre stava lavorando, per una caduta da un’impalcatura. Questo fu ciò che venne riferito alla mia famiglia.

E qui apparentemente si ferma una ricerca che deve continuare e andrà avanti. Se potrò, tenterò di colmare i vuoti temporali di questa storia. Continuerò a cercare, perché la seconda parte della sua vita rimane per noi un capitolo incompleto, una terra inesplorata che merita di essere riscoperta. Una vita fatta di continui pellegrinaggi con attorno a sé il mondo, il vero paesaggio dell’anima. Silvio Sardi, come un Ulisse, ha vagato per la terra, senza mai scordarsi di dove era passato.

Ci sono alcune immagini che difficilmente mentono: aprono una porta sul passato, perciò ne cercherò sicuramente altre. Per questa ragione, le storie sono fatte per essere condivise. Certe volte la vita è una questione di perseveranza e di speranza: e così, talvolta, si riesce davvero a essere liberi dentro. E forse lui, passando attraverso mille peripezie, è stato libero davvero. Di loro, degli esuli antifascisti, si parla poco purtroppo, ma a loro dobbiamo tanto. La storia di questo paese nel secondo Novecento è figlia dei loro esodi forzati, dei loro sacrifici e del loro impegno politico lontano da una nazione che sembrava averli dimenticati.

Alcuni uomini fanno testamento. Per altri, invece, il testamento consiste nel significato profondo della loro esistenza e delle azioni compiute in vita. In famiglia siamo orgogliosi della sua storia, perché lui è da sempre parte della nostra. La sua memoria è ora parte di noi, ancora di più. E corre con il vento. Forse un giorno andrò a Caspe, fra le colline assolate dell’Aragona, e passeggerò nelle stesse strade sferzate dal viento de levante in cui ha camminato i’ Sardi, o per quei vicoli di Marsiglia battuti dal mistral. Chissà, magari con la speranza di trovare un’altra porta sul tempo.

Perché forse la vita, come la memoria, è una questione di radici, non di catene.

Epilogo (momentaneo)

Appena ho ricevuto i documenti su di lui, li ho mostrati a mio nonno. Mentre guardava quei fogli gli sono brillati gli occhi: stava ricordando. Mi pare che anche lui abbia detto Sì, lui era di settembre. Glie li ho lasciati e sono uscito. Ero soddisfatto: poche volte lo ero stato così. Come se avessi quasi reso giustizia a qualcuno; come se il ricordo, per una volta, avesse vinto sul tempo e la storia avesse ritrovato un suo personaggio.

Per l’appunto, tutto questo è successo tempo fa, in un giorno di settembre. Era nato di settembre…

Francesco Valdambrini

Bibliografia:

(1) http://gestionale.isgrec.it/sito_spagna/ita/all_ita_details.asp?offset=330&id=2714, consultato il 16/03/2019; anche in Ilaria Cansella, Francesco Cecchetti (a cura di), Volontari antifascisti nella guerra civile spagnola. Le biografie, ISGREC Quaderni n. 2, Effigi, Arcidosso, 2012. Cfr. con ADEA b. 5W219 f. 1139, Sardi Silvio. Cfr. anche con Giorgio Sacchetti, Renicci 1943, Roma, Aracneeditrice, 2013, pp. 160-161. Il fascicolo è stato gentilmente fatto visionare dall’Istituto.

(2) Enrico Acciai, Una guerra senza pensioni e senza medaglie, le traiettorie dei reduci antifascisti italiani di Spagna tra prigionia, resistenza e dopoguerra, Istituto Storico della Resistenza in Toscana (Firenze), Italia, pp. 113-114.

(3) Giorgio Sacchetti, Camicie nere in Valdarno. Cronache inedite del 23 marzo 1921 (guerra sociale e guerra civile), Pisa, Bfs, 1996.

(4) Giorgio Sacchetti, Ligniti per la Patria Collaborazione, conflittualità, compromesso. Le relazioni sindacali nelle miniere del Valdarno superiore (1915-1958), Roma, Ediesse, 2002.

(5) Giorgio Sacchetti, Renicci 1943, Roma, Aracneeditrice, 2013, pp. 160-161.

(6) http://www.antifascistispagna.it/?page_id=758&ricerca=2690, consultato il 15/03/2019.

(7) http://gestionale.isgrec.it/sito_spagna/ita/vernet_ita.htm, consultato l’08/02/2019.

(8) Enrico Acciai, Viaggio attraverso l’antifascismo. Volontariato internazionale e guerra civile spagnola: la Sezione Italiana della Colonna Ascaso, Tesi di dottorato, da DOI: file:///D:/Download/eacciai_tesid.pdf, consultato il 25/01/2019.

La ricerca e la stesura sono avvenute tramite la consultazione delle fonti sopra elencate.

Ringraziamenti

Ringrazio tutti coloro che mi hanno aiutato nelle ricerche effettuate e che mi hanno dato l’autorizzazione all’uso dei materiali istituzionali come fonti. Ringrazio il Prof. Sacchetti e il Prof. Acciai per il loro preziosissimo aiuto nelle ricerche e per l’autorizzazione all’utilizzo dei loro lavori, come altrettanto ringrazio l’Istituto Storico Grossetano della Resistenza (ISGREC) per la disponibilità e la pazienza con la quale mi hanno assistito. Il mio ringraziamento va anche all’Istituto Nazionale Ferruccio Parri e al Dott. Torre per l’aiuto e la disponibilità. Gli istituti storici e gli storici stessi svolgono un ruolo fondamentale: senza di loro, la nostra memoria storica si dissolverebbe. Li ringrazio anche a nome dei miei cari. Inoltre, vorrei puntualizzare che questo racconto non ha fini politici, ma solo divulgativi. L’unico mio intento è stato quello di ridare voce alla storia di un uomo libero, di conservare il ricordo di una persona e della sua storia. Non so se il mio sia un resoconto imparziale, ma l’unico mio scopo era ricercare e ricordare.