PRIMA DI TUTTO CITTADINI

In un mondo fortunatamente plurale, sempre più spesso si vive in contesti multilaterali. L’educazione, perciò, svolge un ruolo importante…

Forse l’istruzione avrebbe dovuto porre maggiore attenzione nel creare dei cittadini europei, e poi degli studenti. Il risultato avrebbe dovuto essere un’attenzione sui programmi scolastici, fra lo studio della contemporaneità e delle lingue comuni. Si, perchè non si può avere un dialogo fra diverse realtà, anche fra normali cittadini, se non si trova un piano linguistico con il quale interfacciarsi.

Ecco perchè, forse, non è stata posta la necessaria enfasi sullo studio delle lingue comunitarie, di quelle lingue ponte che usiamo per interfacciarsi con le altre nazionalità. La storia ci ha insegnato che non ci può essere un credo comune, più o meno comune, se non c’è una lingua comune più o meno condivisa.

A molti sembrava un’eccessiva preoccupazione per il qui e ora, ma le ultime generazioni non sono state educate a essere cittadini europei nel modo in cui avrebbero dovuto. Dovremmo parlare meglio le lingue comunitarie, ma in generale non lo facciamo quanto dovremmo. Non conosciamo le istituzioni europee a dovere, anche perchè ce ne hanno parlato sempre poco ( e spesso, purtroppo, neanche in famiglia se ne conosceva bene il funzionamento). In questo, un sistema educativo nel quale le conoscenze enciclopediche sono ancora un criterio costante di merito (non dico che non lo debbano essere, ma in maniera più bilanciata rispetto alle competenze), probabilmente non ha aiutato.

Sapere ottimamente il greco e il latino, per un giovane, può essere una buona cosa, ma non sapere una parola di inglese, nelle stesse condizioni, è come essere un viticoltore con una vigna prospera e fertile e non avere i mezzi per vendere il proprio vino, ovvero divulgare il proprio sapere o le proprie considerazioni di cittadino. Secondo me, dunque, la conoscenza enciclopedica non può non accompagnarsi a quella pratica, altrimenti si corre il rischio di trincerarsi in una torre d’avorio e di non avere gli strumenti per interpretare il presente. Si, il sapere è importante principalmente per sè stessi, ma arriverà il momento in cui le proprie opinioni andranno espresse, palesate, anche e democraticamente usando gli strumenti digitali. Questo, per me, vale comunque per tutte le materie e i campi di studio.

Quando le gente, dialogando, non si capisce, si allontana. E quando si allontanta il sapere non circola, come non circolano le idee e le libere opinioni. Ecco perchè soluzioni eccessivamente ideologiche, come disprezzare l’aziendalismo e l’empirismo di certe soluzioni, non è la risposta giusta. Formare cittadini tramite il sapere e le competenze dovrebbe andare di pari passo: le conoscenze, da sole, non bastano. Servono anche le competenze utili a formare una cittadinanza. La scuola serve anche a questo: insegnare a dialogare su più piani, dando competenze, è lo scopo principale nel formare la cittadinanza del futuro.

Insegnare a uno studente a parlare con un coetaneo di un’altra nazione in una lingua comunitaria, per me, è anche compito della scuola. Insegnare a uno studente a riconoscere una fake news, per me, è anche compito della scuola. Insegnare a uno studente a comprendere un articolo di giornale, per me, è anche compito della scuola. Insegnare a uno studente il funzionamento delle istituzioni, anche con l’Educazione civica italiana ed europea, è soprattutto compito della scuola. Insegnare a uno studente a capire la società e l’economia del luogo in cui vive, è anche compito della scuola, come è compito della scuola insegnare la storia.

Pensiero e azione, con la Democrazia. Sarebbe il più grosso favore verso i cittadini di domani, e di oggi.

Langravio

Francesco Valdambrini

NOTTURNO JAZZISTICO

Una passeggiata notturna, fisica o mentale, a suon di Jazz…

La notte, proprio quando è più buia, si posa sui tetti delle ultime, sparute case di periferia. Proprio come il suono delicato di una tromba in un pezzo cool, cade lentamente dal cielo stellato e si posa sui tetti.

La temperatura è di qualche grado sotto lo zero. Per chi non è eccessivamente freddoloso, è il tempo dell’introspezione. Camminando o standosene sdraiati sul letto, poco importa. Il pensiero si dilata proprio come la tromba di Chet Baker in Almost Blue. Il buio fa da stimolo alla mente per il suo viaggio. Il paesaggio esteriore della notte abdica per un momento a quello mentale. Si comincia veramente a pensare, a riflettere.

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(Foto: Public domain picture, source: pexels)

È freddo, ma i pensieri sono caldi come la tromba di Miles Davis in Blue in Green. Il pensiero si espande in orizzontale, esplora risvolti che il giorno impedisce di vedere. Il mondo si dilata. Le migliori pensate vengono di notte.

Si, come avrebbe detto Bill Withers, “non c’è il sole”, ma forse è meglio così. Dove non arriva la frenesia del giorno, della luce che abbaglia, arrivano i pensieri notturni al ritmo soffuso del Jazz più cool. Se si cammina, il ritmo malinconico del sassofono di Coltrane fa rallentare il passo, allentare il ritmo. Il piede pesta il suolo con più dolcezza, i tendini si allentano e si distendono. Le onde sonore vibrano piano, ondeggia piano e si allunga il diaframma.

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(Source: pexels)

Ecco che la notte ti accompagna in un viaggio attraverso tutto ciò che non si vede durante il giorno, tra le sfumature che la luce abbagliante non ci mostra. Il silenzio è molto jazz, di quel jazz ombroso ma riflessivo e misurato. Stiff upper lip, direbbero gli inglesi.

Ogni canzone comincia lenta: alcune sono più scontrose e diffidenti, ma tutte procedono a passo lento come i pensieri. Ti aiutano a far si che la notte si posi dolcemente anche sulle tue spalle, e i pensieri ti accompagnino verso il sogno. Il divagare della mente si consuma lentamente, come una fiammella sul fuoco, come un brano di Gerry Mulligan che ho sentito qualche tempo fa. Sfumato, dalla percussione felpata. La playlist scandisce il ritmo flemmatico del pensiero notturno. Scorre piano, a rilascio graduale. Si ha il tempo di assaporare ogni nota. La vista smette di essere il punto di riferimento: la mente e l’udito ti guidano nella notte, poco prima del sonno. E quando arriva il momento di assopirsi, noi e i nostri pensieri siamo stati cullati dal ritmo lento di un sassofono che non a caso si trova lì, in quel punto della notte.

Anche la notte ha le sue luci (come le Night lights di Mulligan), ma sono meno invadenti di quelle del giorno, più misurate. A ciascuno il suo, qualcuno ha detto.

Tenera è la notte, ha scritto F. Scott Fitzgerald. Gli do ragione: è come una coperta per i pensieri. E nella notte, con la mente e con i piedi, ce ne andiamo sulle note, poco sul serio. Improvvisando, in rapsodia.

La passeggiata continua….

 

Langravio

 

 

N.a. [Scrittura creativa, elaborato di fantasia]

Ritratti di cinema: Van Gogh

Comincio col mettere le mani avanti: di arte non ne so molto. Qui, infatti, vi parlo più di un’interpretazione che di una vita artistica. Si, perchè l’ultimo adattamento cinematografico sulla vita di Vincent Van Gogh ha provato ancora una volta la bravura e la maestosità di un attore, Willem Dafoe.

Che fosse un grande professionista non ci sono dubbi, e quest’ultimo film, che gli è valso anche la Coppa Volpi a Venezia, ha dimostrato quanto sia un grande artigiano della recitazione e quanto ne possegga tutti gli strumenti. Il suo Van Gogh è un uomo alla ricerca del colore, dell’intuizione cromatica: quello è il suo Graal. Impressionanti certe inquadrature, come certe somiglianze.

Un outsider, il Van Gogh del film è un pittore girovago, esploratore. Turbolento, appartato, ma alla ricerca di un contatto con un mondo che non sembra capace di comprenderlo, come non pareva comprenderne l’arte in vita. La sua arte, il mezzo con il quale tenta di essere in pace con il mondo e con sè stesso, è il tramite che, solo in maniera postuma, ha fatto riconoscere la sua prospettiva al mondo, i suoi momenti felici e le sue inquietudini. La sua arte è rapida, e rapido è il suo modo di percepire il tramite naturale. Il suo ponte con il mondo circostante.

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La colonna sonora, poi, aiuta ad immedesimarsi in tutti quei momenti nei quali Van Gogh è alla ricerca della metamorfosi e della pace compositiva. Specialmente belli i brani per pianoforte. Bellissimi e suggestivi, poi, sono i paesaggi del Sud della Francia.

Dafoe ha reso onore ha un grande artista, immortalandone quelle angosce che gli hanno spalancato le porte di ingresso nel canone perchè parte della sua arte. Un grande attore ha reso onore a un grandissimo artista, forse immortalandone la figura nel periodo della vita che lo ha più caratterizzato. La consacrazione assomiglia molto a un campo di grano sferzato dal vento al sole del tramonto estivo.

L’eternità c’è già, ed è maestosa.

Langravio

Il cacciatore di ipocrisie

 

“Facile è, a scorgersi, l’errore altrui. È difficile, invece, scorgere il proprio.”

(Buddha)

 

Il cacciatore di ipocrisie, eterno e valente baluardo di immobilismo coerente, ci dà una lezione su come ci si dovrebbe comportare, cioè su come si dovrebbe stare fermi e non prendere mai una posizione su niente; almeno nessuno, secondo lui, ce lo rinfaccerà in futuro:

«Tu, che prendi una posizione, sappi che ho preparato una scala per misurare quanto sei coerente con la tua scelta. Se alla fine scoprirò che non lo sei, verrai processato dalla mia pancia. Quella sì, caro amico, non fallisce mai.

Tu, che hai preso una posizione, sappi che col mio metro spulcerò e segnerò sul taccuino tutto quello che hai detto, armato di “l’avevo detto io” e di “vergogna.”  Poi, appena cadrai in errore, rispunterò fuori, immobile sul mio scranno, e ti giudicherò dall’alto del mio apatico candore.

Tu, che hai espresso un parere, dovrai guardarti bene dalla mia lente e dal mio giudizio immacolato. Non sai in che ginepraio ti sei infilato. Vado in giro sul mio seggio, il giorno dopo il cambiamento, a cercar la colpa per il mondo.

Di qualcuno è certamente, ma mia no, assolutamente. Della libera opinione, io sono l’inquisitore!

E non macchiarti di oltraggio, stimato amico, ribattendo e domandando di chiarir la mia posizione. Di lesa maestà ti macchieresti!

Ma soprattutto sappi, gentile amico, che già di uno spregevole reato ti sei macchiato, e per questo sarai comunque condannato: hai preso una posizione.»

Alcune verità sono scomode, altre solo indolenti. Meglio le prime o le seconde?

Langravio

Francesco Valdambrini (nel caso qualcuno avesse da ridire)

 

#voleodire

 

N.A.: il pezzo, come consueto, ha un tono satirico e umoristico, e non ci sono riferimenti a fatti o persone reali. Solo una sana e pacifica volontà di prendersi meno sul serio. Questo è un articolo di qualche mese fa.

 

 

 

 

 

BUSCANDO QUIXOTE

È nel canone della letteratura occidentale e nella mente di tutti noi: è il Don Quixote. Nella mente di tutti è il simbolo della battaglia dell’uomo contro le circostanze, contro i tempi e le idee che cambiano.

(Foto: Toledo, Spagna, ph. Autore)

È parodia, si, ma è anche la storia di un uomo che cavalca assieme alle sue idee. Combatte per difendere quello in cui crede e affronta i suoi demoni. Il deserto e il suo scudiero sono gli spettatori di queste bizzarre avventure. Sguaina la spada, imbraccia la lancia contro i fantasmi di un’epoca che al tempo stava tramontando e che oggi è quasi dimenticata fra gli scaffali delle biblioteche.

(Foto: panorama castigliano, ph. autore)

Duella con il mondo e non perde la sua purezza, anche a discapito delle sue febbrili tribolazioni. È ligio al dovere, idealista, intransigente, grottesco di fronte ai tempi che cambiano, e si flagella l’animo e il corpo se pensa di aver violato il codice di un buon cavaliere. Ma forse, come ogni uomo che sogna, chiede troppo da sé stesso.

A lui la realtà non basta: esige qualcosa di più. Per questo osa, erra, pena in cerca di qualcosa che possa elevare il suo spirito. La sua figura è triste, ma intatta. Oltre a questo hidalgo di mezza età, la letteratura fa miracoli e riesce a trasformare, per difetto, anche un contadino analfabeta, un cavallo e un asino in dei paladini della giustizia.

L’elemento grottesco è la chiave di lettura di un libro che segna il passaggio da un’epoca di sognatori a una in cui il buon senso non ha tempo per parlare di codici cavallereschi. A Sancho, il suo padrone pare un pazzo (può darsi che lo sia, ma fino a quanto?). Anche agli occhi degli altri lo sembra, ma non ai suoi, a quelli di un cavaliere.

Forse il modo di essere di Quixote è un solipsismo, o forse un orgoglioso quanto grottesco (per noi) codice morale.

Eppure a volte, nella vita, si erra per darsi un senso. E lui, il cavaliere, pur non riuscendo nel suo compito, non abbandona i suoi valori. Capisce d’aver fallito, ma non di aver perso. Nel profondo, nonostante la tristezza, forse pensa di non aver sbagliato a scegliere di credere in qualcosa di diverso. La sua vicenda è una metafora: forse la stessa alla quale Hemingway si riferiva quando scriveva che un uomo può essere distrutto, ma non sconfitto (1).

Là fuori, fortunatamente, ci sono ancora dei Quixote. Se li vedete, per favore, fate loro i Vostri omaggi.

Langravio

Francesco Valdambrini

Fonti:

(1) https://letteralmente.net/frasi-celebri/ernest-hemingway.php

Trovate questo post anche su: http://www.radiovaldarno.info/buscando-quixote/

SIGNOR FUTURO

Ovvero Il frasario della speranza e relativo commento

 

Avvertenze: luoghi comuni e sarcasmo ova nain tausand.

 

“Questa sarà una storia da raccontare ai miei nipotini quando sarò in pensione.”

Già, la pensione. Aspetta, ti passo il binocolo.

“Comprerò una casa tutta mia, anche a costo di prendere un mutuo.”

Ah, ho capito. Scusa, ma che lavoro fai di preciso?

“Un giorno voglio avere una famiglia tutta mia.”

Scusami, devi aver capito male….

“Ti voglio bene.”

Sai, però ti vedo solo come un co… ehm, un amico.

“Noi giovani dobbiamo impegnarci più in politica.”

Ma nel frattempo chi l’ha detto ha già cambiato discorso.

“Stavo giusto pensando a te.”

Si, come no. E io stavo giusto giusto per diventare un astronauta, solo che ho pensato che un eterno contratto interinale fosse meglio.

“Noi giovani (chi, io?) dobbiamo essere tutti più autonomi, indipendenti.”

Vero. Già, domani mi scade il contratto di una settimana.

 

“Futuro, scusa, dove sei? Ho provato a chiamarti, ma non rispondi. Hai la segreteria telefonica…”

 

Avrei potuto anche metterci “una volta era meglio”, ma poi ho pensato che c’è troppa gente che crede che il futuro sia ieri, quindi meglio di no.

 

E vissero tutti felici e contenti. E forse non si lamentarono delle rughe, ma di altro…

N.a. Non lamentiamoci. Facciamo. E prendiamoci poco sul serio.

P.S. Riferimenti a fatti o persone reali sono puramente casuali.

 

#voleodire

Francesco Valdambrini

Trovate questo post anche qui: http://www.radiovaldarno.info/signor-futuro/

 

MADAMA LA PROVINCIA

“Ah, perchè mi vorreste dire che c’è qualcosa oltre quel muro?”

L’ho sempre detto e lo ripeto: la provincia non è un stato geografico, ma mentale. Questa condizione, spesso, affligge intere nazioni. Certi atteggiamenti, scelte e decisioni ne sono un sintomo lampante.

Tanti dicono che questa signora sia come l’ippogrifo: un essere mitico, lontano, irraggiungibile, di cui tutti parlano ma che nessuno ha mai visto, che esiste solo nei libri. Per altri manco c’è.

Cosa?

Quella sensazione di sollievo nel vedere come niente cambi, come tutto rimanga com’è, con quel passatismo che fa essere sprezzanti verso le novità, guardinghi verso ciò che non si riesce a capire.

Come?

L’essere umano è per natura diffidente verso quello che non riesce a comprendere. Ma certi esseri umani sembrano esserlo ancora di più. E spesso solo per pigrizia o comodità.

L’inconsueto spaventa perché lontano, sconosciuto. Sia essa una nuova idea, un abito mai visto prima, un’abitudine inconsueta, una lingua mai sentita o qualsiasi cosa che stoni con la routine sancita dal canto del gallo nell’aia della mente.

Dove?

Non fraintendetemi: anche in città, spesso e volentieri, si sente il gallo che canta. Anzi, l’ho sentito più spesso cantare in città che fuori (vedi incipit). E poi il gallo è un animale che mi piace: sono un campagnolo orgoglioso. Viva il countryside :).

Ricome?

La provincia mentale, però, la si riconosce bene perché la si vede annidata dove c’è chi si trincera per comodità o pigrizia (lo ridico) dietro quelle cose che fino a 10 minuti prima nemmeno degnava della minima considerazione, ma che adesso sono comode da sbandierare.

La provincia mentale prolifera dove ci si deve dare una forma, una reputazione per forza: una sola, per tutti. E chi non ci sta è, nel linguaggio tipico degli altri, uno strano.

La provincia mentale si annida dove manca ogni stimolo, ogni volontà di informarsi. Dove i quotidiani dormono invenduti sugli scaffali, dove i teatri e le sale cinematografiche rimangono vuote, i libri di scienze, letteratura e storia rimangono a dormire sugli scaffali delle biblioteche.

La provincia mentale, dovunque ci si trovi, cresce dove l’inerzia prende il sopravvento, dove ci si adegua per pigrizia. Basta solo agganciarsi a un discorso; chi se ne importa se non siamo informati sull’argomento.

Si annida dietro le scuse, come la mancanza di tempo, la sfiducia o il cinismo disilluso di quelli che mascherano la propria ingenuità. Dietro gli “scusa” e “hai ragione” che non diciamo per orgoglio puerile.

Si annida anche laddove la tanto conclamata lungimiranza non va più in là del proprio naso.

Piaciuto il monologo?

Ok, bene, ora vado: ho da spolverare il vestito nuovo. Mica voglio fare brutta figura (sarcasmo, vecchio mio)…

#voleodire

Langravio

(Francesco)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

BREVE FIABA SATIRICA

C’era una volta un lontano paese dove la campagna elettorale non finiva mai.
Fin dalla mattina, le strampalate e infattibili proposte politiche si susseguivano: si faceva a gara a chi la sparava più grossa.
In tutto questo frastuono, però, nessuno aveva mai risolto i problemi endemici che affliggevano questo lontano paese.

C’era una volta un lontano paese dove tutti urlavano e si parlavano addosso (“#%£]§!”). I punti esclamativi, oramai allo stato brado, crescevano dappertutto. E nessuno riprendeva mai fiato.

La soluzione, a detta di tutti, era a portata di mano, vicinissima (“Basterebbe poco.”). Ne erano tutti sicuri.
Era talmente vicina che non arrivava mai. Ma sarebbe arrivata prima o poi, eh.

C’era una volta un paese lontano dove i libri venivano usati per zeppare i comodini (“eh, mica siamo tutti saccenti come te”), in cui c’erano più sirene che lettere H.

C’era un volta un paese lontano in cui tutti si interessavano tanto degli altri (“e gli altri che fanno, eh!?”).

I clichè si aggiravano per le strade e si moltiplicavano a vista d’occhio.

Tanto tempo fa, in un paese lontano, si curava la pigrizia con la disillusione (“Basta, ormai non mi fido più”).

Tanto tempo fa, in un paese lontano lontano, e anche tradizionalmente chiacchierone, si era persa apparentemente l’importanza del parlare (“Eh, ma chiacchierano tanto e non fanno nulla!”).

Tanto tempo fa, in un paese lontano, tutti se ne andavano cercando le cause, ma quasi nessuno i rimedi.

La colpa, in questo lontano paese, era una bella donna: talmente bella che rimaneva spesso zitella.

C’era un volta un paese lontano lontano dove si facevano dei giri immensi per poi tornare inesorabilmente al punto di partenza.

C’era una volta un lontano paese. No, asp, ah già…..

 

Langravio

Francesco Valdambrini

 

N.A. l’intento del post è puramente ironico. Riferimenti a fatti o persone sono puramente casuali e non voluti.

 

 

UN’ESTATE CON FURORE

Forse il mio parere, quello di uno che questo libro se l’è letto più volte, vi sembrerà un po’ di parte, ma Furore ha sempre un posto importante nella mia libreria. Pubblicato nel 1939, divise subito la critica per la tematica sociale: la crisi economica che, sul finire degli anni 20’, aveva colpito i paesi più industrializzati.

Una storia di volontà di riscatto e di speranza, due temi talmente pregnanti e trasversali al tempo e alla storia che sono oggi sempre più attuali. Fra le righe di questa pietra miliare della letteratura contemporanea, Steinbeck sembra far affiorare, per bocca degli stessi personaggi, la convinzione che ci sia qualcosa di più giusto oltre la durezza dell’inevitabile che la realtà, talvolta, ci mette di fronte.

Sia che il domani si realizzi a casa, fra i campi quasi inariditi di grano e di mais del Midwest, o molto lontano, nell’assolata California piena di frutteti.

Il grande romanzo americano nasce, probabilmente, con questo libro. Nasce con il suo modo di raccontare realisticamente e, nonostante la tragicità degli eventi della storia, con le sue immagini e le sue metafore di speranza e di ottimismo.

Per alcuni ispirato dal New Deal rooseveltiano, in verità questo libro è molto di più: è un manifesto di una delle crisi più drammatiche che la storia moderna ha affrontato.  In ciò Furore è un romanzo corale, un mosaico di viaggio, una moderna Odissea fatta di tante voci, ma con Tom che incarna un Ulisse che peregrina per il mondo senza rinunciare alla dignità e al desiderio di un domani un po’ meno aspro. Lotta, e lo fa disperatamente.

I personaggi di Furore non si rassegnano: combattono, ognuno a modo suo. Siano essi turbolenti o sereni nel farlo.  C’è la forza calma che emana mamma Joad, ma c’è anche l’impulsività di chi, come Tom, tenta di farsi largo a denti stretti nella vita. E poi c’è Casey, ex predicatore, che cerca il Dio da cui si è allontanato nelle persone che incontra.

Combattono tutti per la loro terra promessa. C’è chi l’ha persa e chi non l’ha ancora trovata, ma tutti i personaggi guardano in avanti verso questa meta. Chi non ci riesce, però, cade caparbiamente da essere libero, libero perché ancora in possesso della propria anima.

Una degna ostinazione.

Langravio

(Francesco Valdambrini)

RANCOROPOLI

Manuale di sopravvivenza da usare in caso di mancanza di buongusto e in caso di mancanza di innocuo/inoffensivo sarcasmo.

Il cattivo gusto, si sa, è una questione di abitudini.

Ce ne accorgiamo quando c’è chi gioisce in maniera becera e ingiustificata della sofferenza altrui.

Il problema, soprattutto, è quando il buongusto latita e diventa talmente accessorio da essere più raro di El Dorado.  Alla fine, quando ci saremo stancati (anche se la soglia di tolleranza nostrana è alquanto alta, forse troppo), daremo ragione a chi dice che il buongusto dovrebbe essere insegnato a scuola. Ormai abbiamo capito che, se parliamo di competenze, quella della sobrietà dei toni e del garbo dovrebbe essere necessaria.

Un altro problema cresce quando pensiamo che il rancore possa giustificare tutto, anche l’inveire contro chi non vive un momento decisamente positivo della propria vita.

E, si, tutte le volte che succede è abbastanza triste e desolante.

Basta trovare un bersaglio, un capro espiatorio contro cui riversare la propria rabbia repressa e il proprio nervosismo: uno con più soldi di noi, con una bella fidanzata/o o uno con un’opionione differente. La frustrazione è un sentimento come tanti, ma dovremmo essere noi a farci i conti ed elaborarla, non gli altri (introspezione). Per questo, forse, dovrebbero esserci più distributori di camomilla in giro e meno macchinette del caffè :).

Una cosa poi è chiara: sono ancora pochi quelli che hanno scoperto i benefici della meditazione e degli esercizi di respirazione. Con ciò non voglio dire che non si debba esprimere un legittimo disappunto, ma forse farlo in maniera civile (e magari per quelle cose che riteniamo ingiustizie) sarebbe meglio.

Chiudo con una paragone un po’ sproporzionato, lo so, ma efficace: come Parsifal che cerca il Graal, chi ha la mia stessa opinione se ne va in giro in cerca di un po’ di garbo e gentilezza anticonformista. Ne troveremo mai tanta?

Nel frattempo, respiriamo….

Langravio